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La distinzione tra il delitto di omessa bonifica e la contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza di rimozione dei rifiuti nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione

  • Immagine del redattore: Fiorenzo Auteri
    Fiorenzo Auteri
  • 10 ago 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32117 del 7 agosto 2024, ha fornito un’importante chiarificazione in materia di tutela ambientale, soffermandosi sulla differenziazione tra due fattispecie incriminatrici apparentemente simili: il delitto di omessa bonifica, disciplinato dall’art. 452-terdecies del codice penale, e la contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, prevista dall’art. 255, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Testo Unico Ambientale). La pronuncia, emanata dalla Terza Sezione Penale, offre un contributo significativo all’interpretazione e all’applicazione di tali disposizioni, chiarendo i presupposti e le finalità che sottendono le due fattispecie, con particolare riguardo alla rilevanza dell’evento di inquinamento.


Il delitto di omessa bonifica: natura e presupposti

L’art. 452-terdecies c.p. sanziona la condotta di chi, obbligato per legge o per provvedimento dell’autorità, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi compromesso da un’attività inquinante. Questo delitto si configura, quindi, come reato omissivo proprio, dove l’elemento costitutivo è l’omissione di un’azione dovuta. La Corte ha precisato che il presupposto essenziale di tale fattispecie è l’esistenza di un’area già contaminata, la cui condizione sia tale da rappresentare un concreto pericolo per l’ambiente. La condotta di omessa bonifica, pertanto, si distingue per la potenzialità inquinante del sito non risanato, che persiste anche dopo l’intervento omesso, aggravando il rischio di danni ulteriori all’ecosistema.


La contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza di rimozione dei rifiuti

Dall’altro lato, la contravvenzione prevista dall’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 punisce chi non ottempera all’ordine impartito dall’autorità competente (generalmente il sindaco) di rimuovere i rifiuti abbandonati, i quali possono consistere anche in deposito incontrollato o immissione nelle acque. La Corte ha evidenziato come tale fattispecie contravvenzionale non richieda la sussistenza di un effettivo inquinamento, ma si limiti a punire la mancata esecuzione dell’ordine di rimozione dei rifiuti, indipendentemente dal pericolo di contaminazione ambientale. In altre parole, la norma tutela il decoro e la salubrità dell’ambiente in senso ampio, sanzionando comportamenti che, pur non risultando pericolosi per l’ecosistema, violano l’ordine pubblico ambientale.


Il principio di offensività e la differenziazione delle due fattispecie

Nella sentenza in esame, la Cassazione ha sottolineato l’importanza del principio di offensività quale criterio distintivo tra il delitto di omessa bonifica e la contravvenzione di cui all’art. 255, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006. Il delitto di omessa bonifica presuppone una situazione di pericolo concreto per l’ambiente, che rende l’inerzia del soggetto obbligato particolarmente lesiva. Di contro, la contravvenzione punisce una condotta omissiva che, pur non determinando un pericolo immediato per l’ambiente, compromette il rispetto delle disposizioni emanate per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti.


In questo contesto, emerge chiaramente come il delitto di omessa bonifica rappresenti una fattispecie di reato più grave, connotata da una maggiore offensività, poiché la mancata bonifica aggrava il rischio di danni ambientali già in atto. Al contrario, l’inottemperanza all’ordinanza sindacale, seppur illecita, si limita a contrastare condotte che, pur meritevoli di sanzione, non producono automaticamente un danno ambientale, sebbene potrebbero rappresentarne il preludio.


Conclusioni

La sentenza n. 32117 del 2024 costituisce un significativo orientamento giurisprudenziale, utile per gli operatori del diritto ambientale, chiarendo la linea di demarcazione tra due fattispecie che, pur essendo accomunate da una condotta omissiva, perseguono scopi differenti e rispondono a esigenze di tutela ambientale con gradi di intensità diversi.


Tale pronuncia ribadisce, quindi, la necessità di un’interpretazione sistematica delle norme in materia ambientale, capace di cogliere le diverse finalità delle disposizioni incriminatrici, in funzione della concreta offensività delle condotte sanzionate. Il diritto ambientale, nella sua complessità, richiede un approccio che sappia bilanciare l’esigenza di prevenire il degrado ambientale con quella di non gravare eccessivamente sui soggetti chiamati a risponderne, differenziando le ipotesi di illecito in base alla loro reale pericolosità e capacità lesiva.





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